Fisica e Sala Bar: possono convivere?

Nell’ultima riforma, sono state inserite alcune materie di studio inedite per gli Istituti di Enogastronomia: Fisica e Chimica, rispettivamente al primo e al secondo anno. Spesso gli studenti (ed anche gli insegnanti) vedono le varie materie (il termine è bruttissimo: forse discipline andrebbe meglio) come delle cellule staccate, senza un filo conduttore. Mentre per Chimica un collegamento c’è (pensate a tutti i processi che avvengono nella cottura dei cibi), Fisica la si colloca troppo lontana, e molto slegata. Eppure un sistema ci sarebbe: portate un prof di Fisica in una sala e lasciate che chieda agli studenti quanti principi o leggi vedono…in una macchina espresso!
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Il processo del riscaldamento dell’acqua, il funzionamento della caldaia, il potente getto del lanciavapore che a seconda della posizione nel bricco, genera (o meno) una buona crema di latte…. ed ancora: il principio di estrazione delle sostanze all’erogazione dell’espresso, fino all’annoso problema di ogni “barrista“*: le tazze vanno all’insù o all’ingiù sopra la macchina? E quindi la spiegazione su come il vapore tenga la polvere lontano. Insomma si potrebbe trarre una lezione condivisa sia dal docente di Fisica, sia dal docente di Sala Bar.

Per non parlare del principio di Schrödinger, che ho applicato ad un altro problema: se richiudete un ex alcolista in un magazzino pieno di alcolici, quando riaprirete la porta, lo troverete ubriaco o sobrio?

Questo è un esercizio puramente …mentale! Se state pensando davvero di rinchiudere un vostro amico ubriacone all’interno di un magazzino pieno di alcolici, smettete di pensarlo. L’esperimento è semplice: si chiede ad un amico ex alcolista di prestarsi e lo si mette sotto chiave per due ore in un magazzino pieno di liquori di ogni tipo. Dopo due ore il vostro amico sarà ubriaco oppure sobrio?
Questo esercizio è liberamente ispirato da un altro famoso paradosso, quello ideato da uno dei padri fondatori della meccanica quantistica, il fisico austriaco Erwin Schrödinger. Egli è conosciuto nel mondo scientifico per la famosa equazione e per il paradosso del gatto che porta il suo nome[1].

Nel 1926 Erwin Schrödinger formalizzò questa equazione, che sarebbe poi diventata l’equazione fondamentale della meccanica quantistica, fino a fargli fruttare il Nobel per la fisica nel 1933. Nella sua teoria, Schrödinger sviluppò un approccio ondulatorio alla nuova fisica in cui le particelle erano rappresentate come onde, visto che in alcuni esperimenti esse presentavano evidenti comportamenti ondulatori.

Se la sua infanzia fu tranquilla, non si può dire altrettanto della sua maturità: poiché non appoggiò il nascente nazismo, anche se ariano, fu perseguitato, ma riuscì a sfuggire due volte al regime nazista, prima a Berlino nel ‘33 e poi in Austria nel ‘38. Rimise piede a Vienna, nella sua tanto amata Austria, solo nel 1956 con una cattedra “ad personam”.

Il “gatto di Schrödinger”, portato alla notorietà grazie e molti libri e serie TV, nacque per sottolineare che l’interpretazione proposta da Bohr della meccanica quantistica portava a conseguenze, secondo Schrödinger, insostenibili nel mondo macroscopico reale. Oggi diremmo: non ha senso!

Schrödinger immagina un gatto chiuso in una scatola con un meccanismo infernale, regolato da leggi quantistiche, che potrebbe ucciderlo (anticipava così di decenni Saw l’enigmista); noi non sappiamo se è vivo o morto finché non apriamo la scatola. Come la particella, prima dell’apertura il gatto potrebbe essere descritto sia vivo che morto, il che è impensabile per la nostra esperienza comune.

In realtà, molti fisici tutt’oggi seguono l’orientamento dato da Bohr e di quella che viene chiamata “interpretazione di Copenhagen”. E il gatto? Rimane comunque un esperimento mentale curioso, che spiega a grandi linee come si comportano gli oggetti quantistici.

In sintesi si prende un gatto (nella mente) e lo si posiziona in una scatola, insieme ad un timer con una fiala di veleno. Secondo i calcoli, il timer potrebbe (si usa il condizionale) attivare un meccanismo e aprire la fiala, facendo fuoriuscire il veleno entro un’ora. Tuttavia non vi è certezza in questo fatto. Per cui il dilemma è: tra un’ora il gatto è vivo o morto? La risposta è: sia vivo che morto, entrambi i casi.

E l’ex ubriacone? Stessa sorte: noi non sapremo mai se lasciandolo chiuso in un magazzino, pieno di oggetti dei suoi desideri (liquori e distillati) si lascerà tentare dal vizio oppure aspetterà che lo liberino. I pensieri e i desideri lo assaliranno (immaginiamo tipo Non apriranno più quella porta, quindi tanto vale affogare il dispiacere in una bevuta). Potrà tentare di resistere, e probabilmente ce la farà, ma per l’appunto finché non lo libereremo dovremo pensare a lui come ubriaco e sobrio contemporaneamente!

Luigi Manzo

* Copyright Marco Malvaldi